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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) o disturbi dell’alimentazione sono patologie caratterizzate da un’alterazione delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. Insorgono prevalentemente durante l’adolescenza e colpiscono soprattutto il sesso femminile, ma anche quello maschile, in una minore percentuale. I comportamenti tipici di un disturbo dell’alimentazione sono: la diminuzione dell’introito di cibo, il digiuno, le crisi bulimiche (ingerire una notevole quantità di cibo in un breve lasso di tempo), il vomito per controllare il peso, l’uso di anoressizzanti, lassativi o diuretici allo scopo di controllare il peso, un’intensa attività fisica. Alcune persone possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti, ma ciò non vuol dire necessariamente che esse soffrano di un disturbo dell’alimentazione. Ci sono infatti dei criteri diagnostici ben precisi che chiariscono cosa debba intendersi come patologico e cosa invece non lo è.

I principali disturbi dell’alimentazione sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating disorder, BED).

Solo una piccola percentuale di persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione chiede aiuto. Nell’anoressia nervosa questo può avvenire perché la persona all’inizio non sempre si rende conto di avere un problema. Anzi, all’inizio, la perdita di peso può far sentire la persona meglio, più magra, più bella e più sicura di sé. A volte le persone ricevono complimenti durante la loro iniziale perdita di peso e questo può rinforzare la sensazione di stare facendo la cosa giusta. Quando le cose invece cominciano a preoccupare, perché la perdita di peso è eccessiva o comunque comporta un cambiamento importante della persona, molte persone non sanno come affrontare l’argomento. In genere sono i familiari che, per primi, allarmati dall’eccessiva perdita di peso, si rendono conto che qualcosa non va. Anche per loro però non è facile intervenire, soprattutto quando la figlia o il figlio non hanno ancora nessuna consapevolezza del problema.

Anche chi soffre di bulimia nervosa spesso si rivolge ad un terapeuta solo dopo molti anni da quando il disturbo è cominciato; come nell’anoressia, inizialmente non si ha una piena consapevolezza di avere una malattia, ma soprattutto un forte senso di vergogna e di colpa sembra “impedire” alla persona di chiedere aiuto o semplicemente di confidare a qualcuno di avere questo tipo di problemi. Il fatto di non riconoscere di avere un problema o di usare i sintomi del disturbo alimentare per cercare di risolvere le proprie difficoltà può avere delle importanti conseguenze sulla richiesta di un trattamento. Nel nostro studio di psicologa a Brescia ci scontriamo con questa tipologia di problema di frequente.

Capire come e perché si sviluppa un disturbo complesso come l’anoressia nervosa o la bulimia nervosa è molto difficile.

I primi fattori di rischio sono i fattori predisponenti, ossia tutti quei fattori che possono essere genetici, psicologici o ambientali, che aumentano la vulnerabilità di una persona a sviluppare il disturbo dell’alimentazione. I secondi fattori sono i fattori precipitanti, che consistono in eventi o situazioni che scatenano l’insorgenza del disturbo. Questi possono essere costituiti da lutti, aggressioni, separazioni da persone care, ma anche da eventi apparentemente non gravi come un fallimento scolastico, un cambio di scuola o essere presi in giro per il proprio aspetto. Infine, ci sono i cosiddetti fattori di mantenimento, ossia tutti quei fattori che impediscono il ritorno alla normalità. Questi sono i fattori sia psicologici che fisici che ambientali, che costituiscono quel ‘circolo vizioso’ di mantenimento della malattia che deve essere affrontato attraverso un sostegno psicologico con le terapie specifiche per il disturbo.

L’approccio più efficace per il trattamento dei DCA è quello multidisciplinare e integrato.

I disturbi dell’alimentazione sono infatti disturbi psichiatrici con importanti manifestazioni psicopatologiche ed una alta frequenza di complicanze mediche: è quindi necessaria una collaborazione tra diverse figure professionali che si occupino in modo integrato di questi diversi aspetti.

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Dismorfofobia https://www.studioilbucaneve.it/dismorfofobia/ Mon, 21 Nov 2022 08:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8160 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia In Italia la maggior parte dei ragazzi tra i 14 ed i 17 anni ritiene l’esser in sovrappeso come la causa più frequente di prese in giro ed umiliazioni. […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia

In Italia la maggior parte dei ragazzi tra i 14 ed i 17 anni ritiene l’esser in sovrappeso come la causa più frequente di prese in giro ed umiliazioni. Inoltre, un’indagine internazionale rivela che ben sei ragazze su dieci evitano di andar dal medico e/o di far sport perché non vogliono mostrarsi né spogliarsi di fronte ad altre persone; solo il 3%, infatti, si ritiene di bell’aspetto e la preoccupazione più grande è il peso, questi dati vengono spiegati con il disturbo chiamato dismorfofobia.

Gli adolescenti allo specchio si vedono brutti, grassi e pieni di difetti: da un lato vorrebbero esser accettati per come sono in quanto odiano le discriminazioni e non hanno pregiudizi nei confronti del diverso, dall’altro fanno di tutto per omologarsi ed uguagliare i loro coetanei o gli attuali modelli di riferimento, come attori, cantanti e personaggi tv dal fisico perfetto. Un atteggiamento, questo, tipico della loro età e del difficile momento di vita e di sviluppo che stanno attraversando, caratterizzato da incertezza, paure, ribellione ed ambivalenza tra autonomia e sicurezza. Nella maggior parte dei casi, si tratta per fortuna di stati d’animo passeggeri, legati alla naturale fase evolutiva; a volte, però, possono sfociare in disturbi più profondi, come i disturbi del comportamento alimentare o la dismorfofobia. 

La dismorfofobia è un disturbo caratterizzato da una visione distorta del proprio aspetto fisico e da un’attenzione esagerata per la propria immagine: il soggetto si preoccupa per l’insieme del suo aspetto, oppure per uno o più difetti specifici, spesso totalmente immaginari. Si sente brutto, anormale, ha timore di esser preso in giro e messo in ridicolo, è convinto di non poter piacere a nessuno, si vergogna ad esporsi in mezzo agli altri credendo che il suo presunto difetto sia enorme e, tutto ciò, diventa per lui un pensiero ossessivo che lo tormenta di continuo, tanto da condizionarlo nella sua vita quotidiana.

Spesso, infatti, questi individui si sentono talmente ansiosi e vulnerabili che evitano situazioni sociali, si isolano, rinunciano ad amici o rapporti sentimentali, per la paura di esser criticati, di suscitare pettegolezzi, ecc. Passano ore a fissarsi allo specchio per trovar conferma del loro aspetto “difettoso” (es. un neo, una ruga, la peluria, ecc.), ma anche per cercar stratagemmi per nascondere e/o attenuare l’imperfezione. Alcuni, invece, non sono neppure in grado di sostenere la vista del proprio corpo e, dunque, mettono in atto meccanismi di evitamento, non guardandosi allo specchio né su altre superfici riflettenti, tipo vetrine. Spesso, ricercano costantemente conferme presso amici e/o familiari riguardo la gravità del loro difetto fisico e, il fatto che gli altri minimizzino, non fa che aumentare la loro ansia, il senso di inadeguatezza e la sensazione di non esser compresi da nessuno. 

I risultati migliori per superare questo disturbo si ottengono con un percorso appropriato di psicoterapia, possibilmente di tipo cognitivo-comportamentale come quello utilizzato nel nostro studio di psicologa a Brescia, il quale sembra esser particolarmente utile per modificare la percezione distorta di sé, ridurre i comportamenti di controllo/rituali, recuperare una relazione positiva con la propria immagine ed anche per ristabilire un buon rapporto con gli altri, il tutto grazie ad un sostegno psicologico.

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COSA SONO I TEST E A CHE COSA SERVONO? https://www.studioilbucaneve.it/cosa-sono-i-test-e-a-cosa-servono/ Mon, 14 Nov 2022 08:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8157 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati I test psicologici sono strumenti moderni che servono per misurare carattere, attitudini, inclinazioni e per valutare la personalità. Vengono molto spesso usati nelle prime fasi della psicoterapia per aiutare […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati

I test psicologici sono strumenti moderni che servono per misurare carattere, attitudini, inclinazioni e per valutare la personalità. Vengono molto spesso usati nelle prime fasi della psicoterapia per aiutare il terapeuta a delineare un profilo psicologico del paziente e anche per aiutarlo nella formulazione di una diagnosi.

Possiamo distinguere due tipi di test:

  • Test di prestazione massima

I test di prestazione massima sono quelli che richiedono al soggetto di dare “il meglio di sé” e valutano abilità raggiunte o potenziali in situazioni specifiche. Quindi il test si caratterizza in una serie di domande nelle quali esiste una risposta corretta agli item e il punteggio che ne esce è determinato dal numero delle risposte corrette date. Classici test di prestazione massima sono: test di abilità, di profitto, attitudinali e di intelligenza. Ad esempio, la WAIS è un test utile per la valutazione del funzionamento cognitivo, in grado di rilevare sia funzionamenti nella norma sia deficitari. Una valutazione qualitativa della WAIS consente il suo utilizzo anche in ambito psicodiagnostico da cui è possibile ricavare sia deficit riguardanti la sfera dei disturbi ansiosi sia di personalità. I risultati possono essere utilizzati come guida nella pianificazione del trattamento e nell’inquadramento diagnostico.

  • Test di prestazione tipica

I test di prestazione tipica misurano caratteristiche quali la personalità o gli atteggiamenti. In genere gli item sono costituiti da frasi che descrivono un comportamento o un’inclinazione verso un particolare oggetto sociale e rispetto alle quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo o la frequenza con cui effettua quel determinato comportamento. In questo tipo di quesiti non esiste una risposta corretta, perché lo scopo è rilevare il punto di vista del soggetto. I test di personalità hanno lo scopo di esplorare la personalità nella sua globalità o in qualche dimensione più specifica. L’interpretazione di questi tipi di test prevede la lettura dei dati raccolti non solo quantitativa ma anche qualitativa. Un esempio di test di questo tipo, utilizzati di frequente anche nel nostro studio di psicoterapia a Brescia, sono il Millon e l’MMPI.

Entrambi vengono utilizzati per diagnosticare i problemi sociali, di personalità e comportamentali tramite una serie di scale costruite su una specifica teoria.

In ambito clinico i test servono soprattutto ad orientare il lavoro ed indicare al clinico la migliore strategia di intervento. Sebbene crediamo che lo strumento d’elezione sia sempre il colloquio, i test psicologici possono essere un utile strumento per consentire una corretta valutazione psicodiagnostica e di conseguenza studiare il sostegno psicologico corretto.

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IL DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITA’ https://www.studioilbucaneve.it/il-disturbo-evitante-di-personalita/ Mon, 24 Oct 2022 07:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8149 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia In un articolo precedente abbiamo presentato e cercato di descrivere che cosa sono i disturbi di personalità. Abbiamo, quindi, detto che soffrire di un disturbo di personalità significa avere […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia

In un articolo precedente abbiamo presentato e cercato di descrivere che cosa sono i disturbi di personalità. Abbiamo, quindi, detto che soffrire di un disturbo di personalità significa avere dei tratti piuttosto rigidi di funzionamento che spesso irrompono il nostro mondo relazionale procurando sofferenza.

Oggi vogliamo parlare delle caratteristiche distintive del disturbo evitante di personalità. Le persone che soffrono di questo disturbo hanno la convinzione di valere poco e il giudizio negativo che hanno nei propri confronti viene proiettato sull’altro, fuori da loro, per cui hanno l’aspettativa di un giudizio negativo da parte degli altri. La convinzione di essere inadeguati o semplicemente diversi (inteso diverso negativamente, non diverso cioè speciale) è talmente radicata che le persone non hanno alcun dubbio circa il fatto che tutti se ne accorgeranno e li giudicheranno negativamente.

Tutto ciò porta le persone a sentire un profondo senso d’inadeguatezza nella vita di relazione, con un enorme timore delle critiche, della disapprovazione altrui e di esclusione. Per evitare queste esperienze dolorose e la sensazione di sentirsi escluso dagli altri, le persone con disturbo evitante di personalità tendono ad avere una vita ritirata; il ritiro sociale, seppur conduce ad una esistenza priva di stimoli, triste, con un visibile senso di vuoto e, a volte, quasi senza senso, evita alle persone di esporsi e di vivere il malessere dell’inferiorità e del senso di inadeguatezza.

Le persone che soffrono di disturbo evitante di personalità hanno ancora più difficoltà ad accedere ad uno studio come il mio, di psicologa a Brescia, perché già un primo contatto o una prima esperienza sociale di questo tipo può essere vissuta con forte disagio, per questo è necessario un sostegno psicologico.

Due temi sono particolarmente centrali in questo disturbo: il tema del rifiuto, inteso come l’aspettativa che esponendomi alla relazione con l’altro, questo non mi apprezzerà ma piuttosto penserà “ma cosa vuole questo/a?” e il tema dell’esclusione sociale, ossia quella sensazione di non essere mai parte di qualcosa ma sempre estraneo nel rapporto con l’altro.

Quando riescono a stabilire delle relazioni, spesso l’atteggiamento dell’evitante è quello di sottomissione, per paura di perdita dell’altro che li riporta a una condizione di solitudine profonda.

Il disturbo evitante di personalità esordisce nella tarda adolescenza e prima età adulta; esistono casi in cui tratti marcati di timidezza oppure di altra manifestazione dei disturbi d’ansia sociale si manifestano nell’infanzia e precedono lo sviluppo successivo di una personalità evitante.

Se vi siete riconosciuti/e in alcune caratteristiche di questo disturbo, prendete in considerazione la possibilità di rivolgervi ad uno specialista che possa aiutarvi a far luce sui vostri dubbi e provate a parlargli del vostro dolore.

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Bonus Psicologo: che cos’è e come funziona? https://www.studioilbucaneve.it/bonus-psicologico/ Mon, 17 Oct 2022 14:14:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8146 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati Il bonus psicologo è un aiuto erogato dallo stato per permettere ai cittadini che necessitano di supporto psicologico di accedere a questo tipo di prestazione sanitaria. Potrete usufruirne per […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati

Il bonus psicologo è un aiuto erogato dallo stato per permettere ai cittadini che necessitano di supporto psicologico di accedere a questo tipo di prestazione sanitaria. Potrete usufruirne per un sostegno psicologico nel mio studio di psicologa a Brescia.

Vediamo in cosa consiste nel dettaglio: dal 25 luglio al 24 ottobre 2022, tutti i cittadini, residenti in Italia, in possesso di un ISEE in corso di validità e di valore non superiore a 50.000 euro potranno richiedere il bonus. Per ciascun cittadino potrà essere erogato un contributo massimo di 600 euro che sarà modulato in base all’ISEE del richiedente secondo la seguente logica:

In caso di ISEE inferiore a 15.000 euro l’importo del beneficio, fino a 50 euro per ogni seduta, è erogato a concorrenza dell’importo massimo stabilito in 600 euro per ogni beneficiario; in presenza di ISEE compreso tra i 15.000 e i 30.000 euro, l’importo del beneficio, fino a 50 euro per ogni seduta, è erogato a concorrenza dell’importo massimo stabilito in 400 euro per ogni beneficiario; in caso di ISEE superiore a 30.000 e non superiore a 50.000 euro, l’importo del beneficio, fino a 50 euro per ogni seduta, è erogato a concorrenza dell’importo massimo di 200 euro per ogni beneficiario.

Per fare richiesta bisogna accedere al portale INPS con le proprie credenziali SPID, CIE o CNS e ogni cittadino potrà fare domanda, oltre che per se stesso, anche per conto di un soggetto minore d’età se genitore esercente la responsabilità genitoriale o tutore o affidatario di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Oppure per conto di un soggetto interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno, rispettivamente dal tutore, dal curatore e dall’amministratore di sostegno.

Al termine del periodo stabilito per la presentazione delle domande saranno stilate le graduatorie per l’assegnazione del beneficio, distinte per Regione e Provincia autonoma, tenendo conto del valore ISEE e, a parità di valore ISEE, dell’ordine di presentazione. L’esito della richiesta verrà altresì notificato tramite SMS e/o mail ai soggetti richiedenti ai recapiti indicati in domanda e sarà consultabile sulla medesima procedura utilizzata per la presentazione della domanda, in particolare, nella sezione “Ricevute e provvedimenti”.

Il beneficiario avrà 180 giorni di tempo, decorrenti dalla data di pubblicazione del messaggio che comunica il completamento della graduatoria, per usufruire del bonus in oggetto e delle sessioni di psicoterapia con l’utilizzo del codice univoco. A quel punto dovrà proseguire o iniziare un percorso di psicoterapia assicurandosi che il proprio terapeuta compaia nella lista dei professionisti aderenti all’iniziativa stilata dall’INPS; dovrà comunicare a tale professionista il codice univoco che gli è stato assegnato dall’INPS; il professionista, nell’apposita sezione, dovrà indicare il codice univoco, in fase di prenotazione o di conferma della sessione di psicoterapia, unitamente al codice fiscale del beneficiario; l’erogazione del contributo spettante, nella quota massima di 50 euro a seduta, verrà erogato direttamente a favore del professionista secondo le modalità da esso indicate.

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LA SINDROME DEL COLON IRRITABILE https://www.studioilbucaneve.it/la-sindrome-del-colon-irritabile/ Mon, 10 Oct 2022 07:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8142 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati La sindrome del color irritabile, in inglese Irritable Bowel Syndrome (IBS) è un comune disturbo gastrointestinale di natura funzionale che può compromettere in modo significativo la qualità di vita […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati

La sindrome del color irritabile, in inglese Irritable Bowel Syndrome (IBS) è un comune disturbo gastrointestinale di natura funzionale che può compromettere in modo significativo la qualità di vita di chi ne è affetto.

Tale sindrome è caratterizzata sa sintomi di dolore addominale, associato ad un’alterazione della funzione intestinale con cambiamenti relativi alla forma e alla consistenza delle feci ed episodi variabili di diarrea e/o costipazione.

Ad oggi non è stata identificata una causa ben precisa in grado di spiegare l’eziopatogenesi della sindrome del colon irritabile. In un’ottica bio-psico-sociale questa sarebbe determinata dall’intreccio di molteplici fattori, non solo fisiologici ma anche psicologici, ambientali e comportamentali.

Chi soffre di questo disturbo tende, solitamente, a rivolgersi in prima battuta a medici specialisti, sottovalutando la prevalente causa psicologica di questa condizione sebbene sia ormai assodato che ci sia una relazione significativa tra i sintomi dell’IBS, i livelli di ansia e le esperienze traumatiche precoci.

Risulta chiaro quanto possa essere d’aiuto un approccio non solo medico, ma anche psicoterapeutico nell’affrontare questa condizione.

La psicoterapia cognitivo comportamentale si basa essenzialmente sulla riduzione dello stress, sulla ristrutturazione cognitiva dei pensieri disfunzionali correlati ai sintomi e sulle esposizioni comportamentali, al fine di eliminare i fattori di mantenimento del disturbo.

La gestione dello stress rappresenta il punto iniziale della terapia cognitivo-comportamentale per L’IBS attraverso: la psicoeducazione sull’IBS, sull’alimentazione e sul ciclo sonno-veglia, l’apprendimento di tecniche di rilassamento, strategie di gestione dell’ansia e l’educazione all’assertività.

Risulta inoltre fondamentale lavorare sugli automatici negativi, che accompagnano i sintomi IBS e che, amplificando i sintomi ansiosi (“qualcosa di pericoloso sta per accadere”), aggravano la percezione dei dolori intestinali.  Imparando a riconoscere, inoltre, i meccanismi di attenzione selettiva e agendo su di essi si disinnescano i comportamenti maladattivi e di evitamento.

I comportamenti di evitamento, infatti, come in un circuito auto-riverberante, rinforzano il problema, diventando fondamentali fattori di mantenimento del disturbo. Si crea, quindi, in questo modo un circolo vizioso che si auto perpetua e cronicizza i sintomi.

In aggiunta, qualora se ne riscontri la presenza, un obiettivo di lavoro è anche quello di diminuire la tendenza alla catastrofizzazione, le frequenti doverizzazioni e gli standard elevati personali e sociali che nei pazienti con IBS possono aggravare e mantenere il problema.

In sintesi, cosa può fare la psicoterapia cognitivo comportamentale per la Sindrome del Colon Irritabile?

La psicoterapia si focalizza su alcuni punti fondamentali:

• aiutare il paziente a modificare la sua visione della sindrome IBS, passando da una condizione in cui egli si sente in balia della malattia ad una situazione di maggiore controllo e padronanza;

• aiutare il paziente a gestire situazioni di vita stressanti; poiché lo stress incrementa i sintomi gastrointestinali, questo rappresenta indirettamente il primo passo per interrompere i circoli viziosi sopra descritti;

• identificare le relazioni tra pensieri, sentimenti, comportamenti, l’ambiente circostante e i sintomi della Sindrome del Colon Irritabile.

Nel mio studio di psicologa a Brescia forniamo un sostegno psicologico per venire incontro a questo tipo di disturbi.

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COSA SONO LE FUNZIONI METACOGNITIVE E PERCHÉ SONO IMPORTANTI https://www.studioilbucaneve.it/cosa-sono-le-funzioni-metacognitive-e-perche-sono-importanti/ Mon, 19 Sep 2022 07:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8138 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati Le funzioni metacognitive sono un insieme di capacità cognitive di alto livello essenziali per rappresentare bisogni e intenzioni proprie e altrui, oltre che per regolare e dirigere il comportamento […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati

Le funzioni metacognitive sono un insieme di capacità cognitive di alto livello essenziali per rappresentare bisogni e intenzioni proprie e altrui, oltre che per regolare e dirigere il comportamento finalizzato nel lungo termine e mantenere relazioni interpersonali stabili.

L’alterazione di tali funzioni porta ad una compromissione di gravità variabile del funzionamento interpersonale riscontrabile in numerose categorie psicopatologiche, in primis nei disturbi di personalità.

Quali sono le funzioni metacognitive?

Monitoraggio: permette di riconoscere le emozioni che si provano e discriminarle le une dalle altre.  Comprendere che cosa le ha attivate, mettendole in relazione con i pensieri e con il contesto in cui ci si trova. Alcune persone non  riescono a distinguere per esempio tra ansia e rabbia, oppure si sentono molto confuse rispetto a ciò che provano.

Decentramento: questa funzione fa sì che la persona possa cogliere la prospettiva da cui l’altro osserva se stesso e il mondo, a prescindere dal proprio punto di vista e dalle proprie credenze, riuscendo a ragionare sugli stati mentali dell’altro prendendo in considerazione i suoi desideri e scopi che possono essere diversi dai propri. Significa quindi, riuscire ad adottare il punto di vista dell’altro, riconoscere che ogni persona è diversa da noi e in una stessa situazione può comportarsi in modo diverso, provando emozioni e pensieri diversi dai nostri.

Differenziazione: questa funzione permette di riconoscere che i propri stati mentali sono rappresentazioni della realtà e non coincidenti con essa ma ipotetici; permette quindi di assumere una distanza critica da quelli che sono i propri pensieri e le proprie credenze.

Integrazione: ha a che fare con capacità di mettere insieme in un sistema coerente di rappresentazioni di stati interni propri/altrui differenti e/o contraddittorie. Tale funzione è fondamentale per mantenere un buon equilibrio della vita psichica e, più in particolare, risulta essenziale per costruire un’identità integrata di sé e degli altri, per produrre narrazioni e spiegazioni complesse del comportamento altrui e in ultimo anche per regolare efficacemente le proprie emozioni mantenendo un comportamento organizzato. Quando questa funzione è deficitaria, il soggetto perde il proprio senso di coerenza; ne consegue che l’immagine di sé/altro dominante è quella del momento presente e viene persa la complessità del reale e la visione d’insieme.

Nei percorsi di psicoterapia che proponiamo nel nostro studio di psicologa a Brescia viene dato ampio spazio alla valutazione al trattamento delle funzioni metacognitive, al fine di promuovere il riconoscimento e il padroneggiamento degli stati mentali problematici ed il miglioramento delle relazioni interpersonali.

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PSICOLOGO O PSICOTERAPEUTA? https://www.studioilbucaneve.it/psicologo-o-psicoterapeuta/ Mon, 12 Sep 2022 07:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8135 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati Abbiamo già parlato, in un precedente articolo, delle differenze tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra. Spesso, però, ci capita ancora di osservare – anche tra le persone che arrivano nel […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati

Abbiamo già parlato, in un precedente articolo, delle differenze tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra. Spesso, però, ci capita ancora di osservare – anche tra le persone che arrivano nel nostro studio di psicologa a Brescia – ancora moltissima confusione sulla differenza tra psicologo e psicoterapeuta.

Partiamo da una considerazione molto semplice: psicoterapeuta, in Italia, corrisponde a una specializzazione. È un po’ come dire che un medico ha la specializzazione in cardiologia e, a quel punto, è un medico cardiologo. Lo psicoterapeuta, quindi, al termine della laurea e dell’abilitazione fa una specializzazione di quattro anni al termine della quale ottiene il titolo di psicoterapeuta. Possono accedere a questa specializzazione sia i medici (laureati in medicina + esame di stato) sia gli psicologi.

Quindi, il più delle volte uno psicoterapeuta è ANCHE uno psicologo, a meno che non arrivi dalla laurea in medicina e sia quindi un medico psicoterapeuta, spesso specialista in psichiatria.

È bene sottolineare come già ben spiegato nell’articolo precedente che SOLO chi proviene da una laurea in medicina può prescrivere farmaci.

Lo psicologo quindi chi è? è un professionista sanitario, laureato in psicologia (3+2) che dopo un tirocinio di 12 mesi e l’abilitazione tramite l’esame di stato, è iscritto all’albo professionale degli psicologi.

A questo punto, dopo già 6 anni di studi, può decidere se conseguire la specializzazione in psicoterapia e diventare appunto psicoterapeuta o esercitare come psicologo.

A chi mi devo rivolgere?

Lo psicologo – senza specializzazione in psicoterapia – può occuparsi di moltissime cose (dalla psicologia dello sport, alla neuropsicologia, psicologica scolastica, solo per citarne alcune). La grossa confusione tra psicologo e lo psicoterapeuta riguarda l’area clinica.

Il problema NON si pone nel caso degli psicoterapeuti che, in quanto psicologi, integrano tutto il lavoro. Nel caso in cui lo psicologo non sia terapeuta, invece, è necessario sapere fin dove si può arrivare e dove occorre un invio a un terapeuta.

In termini generali possiamo dire che il lavoro prettamente psicologico ha a che fare con il supporto in quello che può essere un momento di crisi: lo psicologo interviene al fine di un sostegno psicologico, cercando di mettere a fuoco le risorse per aiutare la persona ad affrontare un momento di fatica personale.

Il lavoro psicoterapeutico fa un pezzo in più: aiuta a capire come sia sorto quel problema (lo si fa in maniera diversa a seconda del metodo di lavoro, ad es. a seconda del fatto di avere orientamento psicoanalitico o cognitivo-comportamentale), può eventualmente fare tutto il pezzo psicologico sul supporto e sulle risorse e lavora affinché avvengano delle modifiche stabili nel tempo, affinché quel problema gradualmente rientri (guarigione, recovery), non si presenti in futuro o lo faccia in maniera meno prepotente.

In linea di massima, ci sentiamo di dire, che in caso di disturbo o malessere di un certo grado (ansia, attacchi di panico, depressione, disturbi alimentari, disturbi della personalità…) sia più opportuno rivolgersi direttamente a uno psicoterapeuta per un sostegno psicologico. Questo perché difficilmente il percorso necessario si esaurisce con una parte di sostegno, bensì se si desidera essere curati è necessario un lavoro più strutturale e profondo che può essere fatto solo da uno specialista in psicoterapia.

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I DIRITTI ASSERTIVI https://www.studioilbucaneve.it/i-diritti-assertivi/ Mon, 05 Sep 2022 07:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8132 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati Avevamo parlato di assertività in uno dei primi articoli del blog . Per rinfrescarci la memoria: L’assertività si può definire come la capacità di un soggetto di riconoscere le […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Francesca Cervati

Avevamo parlato di assertività in uno dei primi articoli del blog . Per rinfrescarci la memoria: L’assertività si può definire come la capacità di un soggetto di riconoscere le proprie esigenze e di esprimerle all’interno del proprio contesto, nel rispetto quindi di sé ma anche dell’altro.

Il presupposto del comportamento assertivo è il riconoscimento dei diritti propri e dell’altro, che permettono di agire in base ai principi di libertà e responsabilità. Questi sono comunemente definiti “diritti assertivi” e comprendono il rispetto di sé stessi, dei propri sentimenti e delle proprie esigenze e convinzioni.

Possiamo considerare i diritti assertivi come una sorta di “linea guida”, un parametro di riferimento in base al quale osservare la relazione: essa è assertiva se tali diritti vengono rispettati, sta invece assumendo caratteristiche di passività o aggressività se i diritti degli interlocutori vengono violati. Servono inoltre a valutare se sollevare o meno una determinata questione che si vive come problematica e fino a che punto sostenere il proprio punto di vista: infatti è bene ricordare che è assertivo quanto rispetta i diritti delle parti in causa, non necessariamente quanto gratifica i desideri o i bisogni delle persone coinvolte.

Facciamo un semplice esempio: se io chiedo un passaggio ad un amico e lui rifiuta, posso forse starci male ma non posso dire che l’altro è stato aggressivo o inopportuno. Posto che ognuno di noi abbia avuto un comportamento verbale e non verbale rispettoso, io ho esercitato il mio diritto di chiedere (non di pretendere però!) e lui il suo diritto di rispondere e di dire anche di no. Se entrambi abbiamo agito nel rispetto sia dell’altro sia nostro (io avevo bisogno di un passaggio e l’ho chiesto, l’altro non poteva e me l’ha detto), allora questa interazione è stata assertiva, anche se io non ho ottenuto ciò che desideravo.

Chiaro che, quando si sceglie di esercitare uno dei propri diritti, occorre prendersi la responsabilità delle conseguenze che tale decisione comporta. Così, ad esempio: abbiamo il diritto di chiedere ciò che desideriamo ma abbiamo la responsabilità di accettare le conseguenze se qualcuno ci dice “no” o “sì” alle nostre richieste. Allo stesso modo, se diciamo “no” ad una richiesta sarà nostra responsabilità accettare quanto ciò inciderà sulla relazione che abbiamo con la persona con la quale abbiamo espresso il rifiuto.

Inoltre, riconoscere e rispettare i diritti assertivi significa anche riconoscerli e rispettarli negli altri: tutti hanno gli stessi nostri inviolabili diritti.

I  10 DIRITTI ASSERTIVI:

  1. Ho il diritto di essere me stesso.
  2. Ho il diritto di agire in modo da difendere il mio valore e la mia dignità senza ledere l’integrità altrui.
  3. Ho il diritto di avere bisogni e necessità anche diversi da quelli delle altre persone.
  4. Ho il diritto di chiedere (ma non di pretendere!) ciò di cui ho bisogno.
  5. Ho il diritto di giudicare il mio comportamento e i miei pensieri e di assumermene la responsabilità, accettandone le conseguenze.
  6. Ho il diritto di essere anche illogico nelle mie scelte.
  7. Ho il diritto di non offrire ragioni o scuse per giustificare il mio comportamento.
  8. Ho il diritto di dire “no” senza sentirmi in colpa.
  9. Ho il diritto di dire “non so” o “non capisco” e di chiedere spiegazioni.
  10. Ho il diritto di cambiare opinione.
  11. Ho il diritto di commettere errori e di assumermene la responsabilità.
  12. Ho il diritto di valutare se assumermi la responsabilità di trovare soluzioni ai problemi degli altri.
  13. Ho il diritto di non rendere sempre al massimo delle mie possibilità.

Nel mio studio di psicologa a Brescia aiuto i miei pazienti a riconoscere e rispettare i diritti assertivi attraverso un aiuto e un sostegno psicologico.

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LA MADRE SUFFICIENTEMENTE BUONA https://www.studioilbucaneve.it/la-madre-sufficientemente-buona/ Mon, 22 Aug 2022 07:30:00 +0000 https://www.studioilbucaneve.it/?p=8127 A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia Nel mio studio di psicologa a Brescia, dove offro sostegno psicologico per genitori e figli,  affronto spesso il tema della maternità, sia da parte delle mamme che dalla parte […]

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A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia

Nel mio studio di psicologa a Brescia, dove offro sostegno psicologico per genitori e figli,  affronto spesso il tema della maternità, sia da parte delle mamme che dalla parte dei figli. Abbiamo tutti avuto una madre e il tipo di genitorialità a cui siamo stati esposti ha – evidentemente – influenzato il nostro modo di essere, pensare, sentire.

In questo articolo vorrei tornare sul concetto di “madre sufficientemente buona” espresso da Winnicott nel lontano 1987, perché ancora molto attuale e utilizzato nella pratica clinica. Secondo l’autore, una “madre sufficientemente buona” è una mamma che sa istintivamente intervenire, dando amore al suo bambino, ma sa anche quando, invece, mettersi da parte, quando il bambino non ha bisogno di lei. Le madri “base sicura”, quindi, sanno esserci nel momento di bisogno, ma sanno stare ai margini, rispettando il figlio, nel momento in cui non dimostra di aver bisogno né di coccole né di aiuti.

Di recente, una collega, la dottoressa Stefania Andreoli ha toccato un tema importante che s’intreccia con quanto detto sopra in merito all’essere madri oggi, nel suo libro “lo faccio per me” (2022). Sembra, infatti, che socialmente la figura della madre debba essere ricondotta alla dedizione totale al figlio e al piacere di farlo, disumanizzandola e appiattendo la sua persona ad un’unica identità, quella appunto di madre.

In realtà, pur ribadendo l’importanza del ruolo di punto di riferimento che una madre ha per il/la suo/a piccolo/a, bisogna ricordare che questo non prevede l’iperaccudimento, il buonismo o il rapporto simbiotico.

Come dice anche Grazia Attili, nel suo “l’amore imperfetto” del 2012, il bambino ha una sua abilità contrattuale: piange per farsi confortare, sorride per mantenere la madre vicina, esplora se la madre è una base sicura. La disponibilità genitoriale di venire incontro ai “termini del contratto” rende il bambino sicuro di gestire progressivamente sempre più in autonomia la sua vita perché crea l’aspettativa che se avrà bisogno di qualcosa, troverà qualcuno disponibile ad aiutarlo.

Essere una base sicura però non significa annullare ogni aspetto del sé, o meglio, sacrificare la nostra vita in nome dell’amore dei nostri figli. Quella del sacrificio, infatti, è un’abitudine culturale che dovremmo perdere: non solo riflette un nostro bisogno e non quello del bambino, che nell’esercitare la funzione genitoriale dovremmo avere in testa, ma trasmette nell’altro una colpa che non dovrebbe avere. Se, infatti, vedo l’altro rinunciare a ciò che lo fa star bene per me, proverò colpa per i bisogni che ho dimostrato di avere.

Un bambino o una bambina dovrebbero, in realtà, fare esperienza di un accudimento piacevole che può avvenire solo se la mamma sufficientemente buona è in grado di prendersi cura prima di tutto di sé stessa e di conseguenza poi anche della prole.

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