La parola alla psicologa: come funziona il disturbo Ossessivo Compulsivo?

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La parola alla psicologa: come funziona il disturbo Ossessivo Compulsivo?

A cura della psicologa psicoterapeuta dott.ssa Stefania Ciaccia

Avrete sicuramente sentito parlare di Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC da qui in poi): ne soffrono tantissime persone in Italia e nel mondo; numerosi libri e film sono stati prodotti sull’argomento e molte campagne di sensibilizzazione sono state condotte da personaggi noti.

Quella che vi propongo nelle righe successive, però, è una visione del disturbo dal punto di vista del suo funzionamento.

La logica del DOC

Ogni disturbo mentale segue una sua logica: si prepara, arriva, si sviluppa, si mantiene in vita, finché diventa così pesante che le persone (qualche volta) decidono di liberarsene. 

Chiedendo ad una psicologa di descrivere il DOC, per eliminare ogni possibile equivoco direbbe che è un disturbo d’ansia, caratterizzato:

  • dalla presenza di ossessioni, ossia idee, pensieri, o immagini ricorrenti e/o persistenti che insorgono improvvisamente e vengono vissuti come fastidiosi e privi di senso; 
  • da compulsioni, ossia atti mentali (pregare, contare, ripetere parole) o comportamentali (controllare, pulire, ordinare) ripetitivi, messi in atto secondo regole precise allo scopo di neutralizzare e/o prevenire un disagio o una situazione temuta.

Il DOC, dunque, potremmo dire che nasce con l’esigenza di proteggerci da qualcosa che ci spaventa.

Il ruolo del senso di colpa

In particolare, nel DOC, ad essere centrale è il senso di colpa: ciò che un paziente ossessivo cerca di evitare è sentirsi responsabile per qualcosa. 

Prendiamo un paziente immaginario per aiutarci a descrivere come funziona il disturbo: la sig.ra Maria che lava in modo compulsivo la casa (compulsione) affinché i suoi figli possano vivere in un ambiente sicuro, non ha paura che essi possano infettarsi con qualche germe e stare male, quanto, piuttosto, teme che la responsabilità dell’accaduto sia sua, perché non ha pulito abbastanza o abbastanza bene (ossessione). 

Essere colpevoli, quindi, sarebbe, per un paziente DOC (a differenza, per esempio, di un paziente con fobia) più grave dell’evento catastrofico.

L’ossessione del paziente è costituita dall’idea che lui possa infrangere dei principi morali (per esempio procurare danno a qualcuno o qualcosa), per questo gli servono le compulsioni, per assicurarsi (un certo numero di volte, magari) che abbia fatto tutto ciò che è in suo potere per evitare il rischio.

In questo senso, allora, un qualsiasi evento attivante (per la signora Maria potrebbe essere il rientro in casa dei figli con vestiti e scarpe sporchi) viene interpretato alla luce di quello che la persona potrebbe fare per evitare che accada nuovamente, in modo tale da non percepire disagio e malessere.

Automaticamente, allora, comincerebbe a pensare che, percependo il pericolo, se non facesse niente si sentirebbe terribilmente in colpa. Per evitare questa colpa, la signora Maria inizierebbe a lavare tutto in modo ossessivo.

DOC o non DOC?

Probabilmente a tanti di noi è capitato di scorgere un pericolo e volerlo prevenire per non sentirsi colpevole, tuttavia non tutti abbiamo sviluppato un DOC per questo. 

Qual è la differenza? Una persona con disturbo non riesce ad accettare il rischio che, nonostante gli sforzi, qualcosa potrebbe andare storto. 

Mentre tutti noi dopo aver lavato una volta diremmo “ok va bene”, rischiando che forse potrebbe non essere perfettamente pulito, una persona con DOC non riuscirebbe ad accettare quel rischio, perché non sarebbe ammissibile accettare l’eventuale colpa. 

Da qui la necessità di mettere in atto una serie di comportamenti compulsivi, che si esauriscono solo quando l’ansia rientra, a costo di compromettere la sua salute della persona.

Consigli della psicologa

Esiste una falsa credenza, per cui spesso le persone sono restie ad affrontare un disturbo come il DOC con psicologa, all’interno di un percorso di terapia: si crede che i comportamenti messi in atto “in fondo non hanno particolare influenza sulla vita quotidiana”, ma non è così: uno dei primi passi del lavoro con una terapeuta, è riconoscere proprio questi pensieri disfunzionali tipici del disturbo stesso.