IL LUTTO PATOLOGICO

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lutto patologico - rosa morta

IL LUTTO PATOLOGICO

A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Stefania Ciaccia

Il dolore di un lutto è come una lunga valle tortuosa dove qualsiasi curva può rivelare un paesaggio completamente nuovo. Ciò non accade con tutte le curve. A volte la sorpresa è di segno opposto: ti trovi di fronte lo stesso paesaggio che pensavi di esserti lasciato alle spalle chilometri prima. E allora ti chiedi se per caso la valle non sia una trincea circolare. Ma no. Ci sono, è vero, ritorni parziali, ma la sequenza non si ripete.”

 (Lewis, 1990).

Molti autori (psicologi e letterati) si sono interrogati sui criteri che definiscono un lutto – evento già di per sé doloroso – come patologico

Ci si è chiesti: qual è il confine? Come fare a stabilire quando il dispiacere è sano e quando non lo è? 

Dolore “sano” e insano

Gli scienziati hanno nel corso del tempo suddiviso l’esperienza del lutto in diversi momenti o fasi che possono essere sintetizzati in questo modo: abbiamo prima una fase di negazione dell’evento avverso, in cui si attiva il nostro sistema di difesa con il suo corredo di emozioni di allarme, processi dissociativi, freezing, distacco emotivo, una normale reazione da stress acuto. 

In una seconda fase, invece, si attiva il nostro sistema di attaccamento: le persone si rendono conto della perdita e la ricerca irrazionale della persona amata può essere paragonata al pianto da separazione del bambino con la madre. In questa fase predominano la tristezza, la disperazione e la collera.

Infine, in un’ultima fase dell’esperienza di lutto si attiva il nostro sistema di accudimento, che si esprime con la cura per la tomba, la paura di dimenticare la persona cara, il desiderio di prenderci cura del suo ricordo.

Nella mia esperienza di psicologa a Brescia, ho constatato che per parlare di lutto patologico si aspettano dodici mesi dall’evento avverso, per dare il tempo, a chi rimane in vita, di affrontare tutti gli eventi dell’anno (compleanni, festività, anniversari) senza la presenza della persona defunta, compreso l’anniversario della morte che può generare una grande sofferenza. 

Il tempo trascorso

Possiamo quindi affermare che il fattore temporale sia piuttosto centrale nell’elaborazione del lutto. 

Se, trascorso un anno dalla perdita della persona cara, chi resta non è riuscito a superare le diverse fasi del lutto, possiamo cominciare a interrogarci sulla possibilità che questa persona stia affrontando un lutto complicato. 

Ci sono però altri indizi di un lutto non risolto a cui va posta particolare attenzione:

  • la persona non riesce a parlare del defunto senza esperire un intenso e “fresco” cordoglio, anche se la perdita si è verificata anni prima;
  • alcuni eventi, relativamente minori, stimolano un’intensa reazione di cordoglio;
  • difficoltà a separarsi da oggetti e beni materiali appartenuti al defunto;
  • sintomi simili a quelli del defunto, soprattutto in corrispondenza di eventi importanti (compleanno, anniversario, ecc.)
  • cambiamenti radicali nello stile di vita oppure evitamento di amici, familiari, ecc.
  • impulsi auto-distruttivi;
  • fobia per la malattia che ha colpito il defunto.

La diagnosi da parte della psicologa

Come si può evincere dall’elenco eterogeneo riportato sopra, valutare la qualità della sofferenza espressa a seguito di un lutto è un processo piuttosto complicato, che dipende da numerosi fattori e che nelle persone ha modalità espressive molto diverse fra loro.

È importante, tuttavia, fare una buona diagnosi per riuscire ad aiutare nella maniera adeguata il paziente che soffre. Nel mio studio, come psicologa a Brescia, mi occupo anche di queste problematiche.