LA MADRE SUFFICIENTEMENTE BUONA

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LA MADRE SUFFICIENTEMENTE BUONA

A cura della psicoterapeuta e psicologa a Brescia Dott.ssa Stefania Ciaccia

Nel mio studio di psicologa a Brescia, dove offro sostegno psicologico per genitori e figli,  affronto spesso il tema della maternità, sia da parte delle mamme che dalla parte dei figli. Abbiamo tutti avuto una madre e il tipo di genitorialità a cui siamo stati esposti ha – evidentemente – influenzato il nostro modo di essere, pensare, sentire.

In questo articolo vorrei tornare sul concetto di “madre sufficientemente buona” espresso da Winnicott nel lontano 1987, perché ancora molto attuale e utilizzato nella pratica clinica. Secondo l’autore, una “madre sufficientemente buona” è una mamma che sa istintivamente intervenire, dando amore al suo bambino, ma sa anche quando, invece, mettersi da parte, quando il bambino non ha bisogno di lei. Le madri “base sicura”, quindi, sanno esserci nel momento di bisogno, ma sanno stare ai margini, rispettando il figlio, nel momento in cui non dimostra di aver bisogno né di coccole né di aiuti.

Di recente, una collega, la dottoressa Stefania Andreoli ha toccato un tema importante che s’intreccia con quanto detto sopra in merito all’essere madri oggi, nel suo libro “lo faccio per me” (2022). Sembra, infatti, che socialmente la figura della madre debba essere ricondotta alla dedizione totale al figlio e al piacere di farlo, disumanizzandola e appiattendo la sua persona ad un’unica identità, quella appunto di madre.

In realtà, pur ribadendo l’importanza del ruolo di punto di riferimento che una madre ha per il/la suo/a piccolo/a, bisogna ricordare che questo non prevede l’iperaccudimento, il buonismo o il rapporto simbiotico.

Come dice anche Grazia Attili, nel suo “l’amore imperfetto” del 2012, il bambino ha una sua abilità contrattuale: piange per farsi confortare, sorride per mantenere la madre vicina, esplora se la madre è una base sicura. La disponibilità genitoriale di venire incontro ai “termini del contratto” rende il bambino sicuro di gestire progressivamente sempre più in autonomia la sua vita perché crea l’aspettativa che se avrà bisogno di qualcosa, troverà qualcuno disponibile ad aiutarlo.

Essere una base sicura però non significa annullare ogni aspetto del sé, o meglio, sacrificare la nostra vita in nome dell’amore dei nostri figli. Quella del sacrificio, infatti, è un’abitudine culturale che dovremmo perdere: non solo riflette un nostro bisogno e non quello del bambino, che nell’esercitare la funzione genitoriale dovremmo avere in testa, ma trasmette nell’altro una colpa che non dovrebbe avere. Se, infatti, vedo l’altro rinunciare a ciò che lo fa star bene per me, proverò colpa per i bisogni che ho dimostrato di avere.

Un bambino o una bambina dovrebbero, in realtà, fare esperienza di un accudimento piacevole che può avvenire solo se la mamma sufficientemente buona è in grado di prendersi cura prima di tutto di sé stessa e di conseguenza poi anche della prole.